Ci sono giornalisti che a volte forzano il significato di una sentenza per fare il titolo, e questo è innegabile. Ma pure ci sono sentenze che forzano i giornalisti a fare il titolo, tanto sono sui generis. Appartiene forse alla seconda categoria – ma lasciamo la decisione al lettore – il verdetto segnalato da Repubblica con un titolo in prima pagina: “Sembra un maschio, non è stupro”. Troppo brutta per insomma per essere vittima di una violenza sessuale.
“Troppo mascolina. Poco avvenente. E quindi è poco credibile che sia stata stuprata, più probabile che si sia inventata tutto – scrive Maria Elena Vincenzi su Repubblica – È un ragionamento che già indignerebbe se ascoltato in un bar, ma che letto in una sentenza fa un effetto ancora peggiore. Per di più se a firmarla sono tre giudici donne. Che scelgono, così, di assolvere in appello due giovani condannati in primo grado a cinque e tre anni per violenza sessuale. E nelle motivazioni scrivono che all’imputato principale «la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo “Vikingo” con allusione a una personalità tutt’altro che femminile quanto piuttosto mascolina». Poi la chiosa: « Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare».
Il verdetto è stato annullato con rinvio dalla Cassazione ma “leggendone il testo, sembra che a influire sulla decisione delle tre magistrate sia stato proprio l’aspetto fisico della donna”, peraltro definita nelle motivazioni assolutorie della Corte d’appello di Ancona come «la scaltra peruviana».

Le password del defunto passano agli eredi
Le password del caro estinto? Passano agli eredi insieme ai beni materiali,