A scatenare il putiferio sono state le dichiarazioni di un giudice di Verona, Andrea Mirenda, che ha parlato di “metodi mafiosi” che verrebbero seguiti al Csm. Così è stato il parlamentare di Forza Italia ed ex consigliere di Palazzo dei marescialli Pierantonio Zanettin a chiedere nei giorni scorsi al ministro della Giustizia di valutare l’opportunità di un’iniziativa disciplinare nei confronti del magistrato. Adesso è la volta dell’ANM, l’Associazione nazionale magistrati, che prende le distanze da Mirenda bollando le dichiarazioni come “inaccettabili”. Quelle affermazioni, si legge in una nota, gettano “discredito” sul Csm, “instillando nei cittadini l’idea che non garantisce l’indipendenza e l’autonomia della magistratura”. A sollevare il caso il libro di Riccardo Iacona “Palazzo d’ingiustizia”, dove si legge la frase incriminata: “Il Csm ormai non è affatto un padre amorevole per magistrati, non è più l’organo di autotutela, non è più garanzia dell’indipendenza, ma è diventato una minaccia, perché non vi siedono soggetti distaccati, ma faziosi che promuovono i sodali e abbattono i nemici, utilizzando metodi mafiosi”. Benzina sul fuoco delle elezioni dei consiglieri togati del CSM, attese per luglio, e amaro viatico per le celebrazioni di settembre per i sessant’anni della legge istitutiva.