La parentela con un mafioso non impedisce il rilascio del porto d’armi. Lo ha stabilito il Tar Sicilia decidendo sul ricorso di un uomo di 49 anni che aveva chiesto il rinnovo del porto di fucile per uso caccia essendone prossima la scadenza.
Un’istanza rigettata sulla base della circostanza che il richiedente era nipote di soggetti condannati per associazione mafiosa ma che non ha impedito all’uomo, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Daniele Piazza, di presentare ricorso davanti al TAR contro il Ministero dell’Interno, lamentando una grave forma di eccesso di potere per contraddittorietà manifesta tra
atti successivi della pubblica amministrazione. A fronte degli stessi presupposti, il Ministero in passato aveva ritenuto di potere rinnovare al ricorrente il porto di fucile. In giudizio il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, ha chiesto il rigetto del ricorso ma il TAR ritenendo fondate le censure formulate dagli avvocati lo ha accolto, confermando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la sola sussistenza di un rapporto di parentela con un soggetto pregiudicato non è, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, indice di una capacità di abuso delle armi.