Per la serie “la pena tende alla rieducazione del condannato”, vi raccontiamo una storia che arriva da Foggia.
C’è una donna, una signora di 47 anni, convinta di essere fidanzata con un uomo che in realtà con lei non ha alcun rapporto. La signora in questione è certa che il suo compagno inconsapevole in realtà non fugga da lei volontariamente, ma solo perché obbligato, quasi tenuto prigioniero da una setta buddista di cui la zia dell’uomo sarebbe il capo. E’ la perfida anziana a costringere il nipote a star lontano dalla sua amata e a frequentare sempre una palestra.
Ecco, questo è l’antefatto. Fa sorridere forse, ma dietro c’è un dramma. Per ciò che interessa un sito come il nostro, valgono la qualificazione giuridica e poi clinica della vicenda. Accusata di stalking, la signora nei mesi scorsi ha violato il divieto di avvicinamento al partner immaginario, un poveretto che esasperato alla fine l’ha denunciata. Per questo è finita in carcere. Ma è stato poi lo stesso tribunale di Foggia, valutandone il quadro clinico grazie alle perizie disposte su richiesta della difesa, a stabilire che la donna è affetta da “un disturbo delirante in una personalità paranoide”, dunque incapace di intendere e di volere e anche di stare in giudizio.
Il tribunale perciò ne ha disposto il ricovero in una Rems, senonché quella competente per territorio non è disponibile avendo esaurito i posti. Risultato: da due mesi la 47enne, una persona evidentemente molto malata secondo la stessa giustizia, resta ugualmente in carcere.
Spiega l’avvocato Michele D’Urso: “Il grave è che resta applicata la custodia cautelare in carcere a persona incapace di intendere e di volere. Inoltre il sistema penitenziario e sanitario, a causa di mancanze strutturali, non è in grado di far fronte alle esigenze di cura degli imputati in misura di sicurezza, con la conseguenza che tali soggetti, spesso persone ‘ai margini della società’, patiscono la detenzione in carcere ‘sine titulo’ e in violazione dei loro più elementari diritti costituzionali, quali il diritto alla salute”.
Non c’è una morale da fare a nessuno, in una triste vicenda come questa. La morale viene semplicemente elencando due o tre circostanze. La prima: qualche giorno fa a Rebibbia una detenuta ha ucciso i figlioletti. Le erano stati negati i domiciliari. La seconda: dal 4 ottobre i giudici della Consulta visitano le carceri per parlare di costituzione ai detenuti. Chissà, magari incontreranno anche la 47enne di cui ci occupiamo qui sopra.

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