“Un uomo di cui si poteva comperare solo la morte”, per usare le parole di un suo sostituto. Una morte comperata dalla mafia con sei colpi di P38 il 6 agosto di 38 anni fa.
Morì dissanguato su un marciapiede di via Cavour a Palermo il 6 agosto del 1980, il procuratore di Palermo Gaetano Costa, magistrato ucciso nell’adempimento del dovere ben prima di Falcone e Borselli, ma presto dimenticato. Al suo funerale parteciparono in pochi, anche dei suoi colleghi.
“Si è avuto paura di cercare la verità”, dice ora Michele Costa, figlio del procuratore, nell’anniversario di quel delitto. Una polemica mai sopita, la sua, con la magistratura dell’epoca, soprattutto quella di Caltanissetta che, a suo giudizio, avrebbe dovuto approfondire le cause e le responsabilità dell’agguato. Parole pronunciate in occasione della commemorazione del procuratore davanti alla lapide che ne ricorda l’uccisione.
“Ci siamo battuti all’inverosimile – dice il figlio – ma la memoria di mio padre è stata cancellata… Fu un omicidio strategico. Mio padre lo ha scritto prima di morire. Esiste per questi delitti una precisa esigenza: che si sappia qual è la scaturigine, la causa, ma non si sappia mai perché. Mio padre è rimasto a Palermo solo due anni, e dunque sarebbe stato quasi facile individuare i colpevoli. Il vecchio pg di Caltanissetta mi ha quasi insultato perché avevo ipotizzato, peraltro con garbo, che si avesse paura a scoprire la verità. Perché è proprio la verità a fare paura nei delitti di mafia”.

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