La Costituzione e la Corte costituzionale “non conoscono muri e non si fermano davanti alle porte del carcere”. Un proclama che suona strano, nel giorno in cui l’Italia discute dei bambini reclusi in cella con le madri all’indomani della tragedia di Rebibbia.
Una giovane donna di nazionalità tedesca, arrestata per traffico di droga ma chiaramente utilizzata come corriere con i due figli piccoli, peraltro incensurata, che ha ucciso i suoi bambini dopo essersi vista respinta la richiesta dei domiciliari.
Una storia drammatica che fa da cornice all’annuncio del progetto “Viaggio in Italia: la Corte costituzionale nelle carceri”, che partirà il 4 ottobre proprio dal grande penitenziario romano. L’iniziativa sarà presentata mercoledì 26 settembre alle ore 14,30, nella sala conferenze del Palazzo della Consulta. Il presidente Giorgio Lattanzi ha incontrato il capo dello Stato Mattarella per parlare delle finalità del progetto, che risponde anzitutto all’esigenza della Corte di incontrare fisicamente alcune realtà sociali del Paese per diffondere la conoscenza della Costituzione e farne condividere i valori, allo scopo di costruire una solida “cultura costituzionale”. Certo, anche nel carcere, per testimoniare che la Costituzione davvero “appartiene a tutti”.
Un’iniziativa certo lodevole, pure in un contesto che racconta di sovraffollamento di detenuti e di carenza di personale di polizia penitenziaria; dove i suicidi e le aggressioni sono all’ordine del giorno; dove il disagio psichico viene intercettato solo quando è troppo tardi e una donna incensurata che ha già dato segni di squilibrio viene rinchiusa in cella con i figli piccoli. Questo il quadro, questo il contesto nel quale i giudici dell’Alta Corte spiegheranno che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L’inevitabile, mai tanto dolorosa distanza fra costituzione formale e materiale.

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