L’accusa è di minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario, per via di alcune frasi allusive e – secondo procura e gip – dal contenuto piuttosto intimidatorio, pronunciate nell’ufficio del giudice Cristina Benetti, presidente del tribunale di Reggio Emilia, ma soprattutto componente del collegio che valutò le misure patrimoniali del processo Aemilia, sulla ‘ndrangheta nella regione.
Ai domiciliari finisce un don, ma non inteso nell’accezione mafiosa del termine. Il don in questione invece è un prete vero e proprio, appunto Don Ercole Artoni, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII per il recupero dei detenuti – omonima di quella fondata dal compianto don Oreste Benzi – arrestato insieme a un certo Aldo Ruffini, commerciante accusato di evasione fiscale.
Nell’ordinanza vengono riportate le frasi che don Ercole avrebbe rivolto al giudice nel suo ufficio il 18 dicembre scorso: “”Sa che a Reggio Emilia c’è un braccio speciale dove sono detenuti gli imputati di Aemilia? Uno di loro mi ha detto di venire da lei e di dirle di stare molto attenta e soprattutto di stare lontana dalle finestre dell’ufficio (…) un altro di loro ha detto di stare attenta che sanno dove studia suo figlio”. Dopo quell’episodio al giudice è stata applicata una scorta.

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