Diffamazione, il direttore del giornale risponde anche del contenuto delle lettere

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“Caro Direttore…”, ovvero la rubrica delle lettere dei giornali. Rubrica che, per la verità, al giorno d’oggi soffre come tutta la carta stampata della penuria di lettori. Di quei pochi che ancora prendono carta e penna – o più spesso tastiera e mail – per scrivere qualcosa, occorre però fidarsi fino a un certo punto. O quanto meno occorre, anche per le lettere, applicare tutta una serie di controlli rigidi sulla fondatezza del contenuto della lettera.
Lo precisa la Cassazione ricordando che tocca a direttore responsabile verificare l’identità dell’autore e che la narrazione corrisponda al vero. Senza questi controlli, il direttore che
si accontenta di fare solo una telefonata per parlare con il mittente, incorre nella condanna per omesso controllo e paga eventualmente i danni da diffamazione. La vicenda processuale era nata dalla condanna di un direttore di un quotidiano pugliese, che nel 2004 aveva pubblicato la lettera di un aspirante avvocato che raccontava di brogli durante il concorso per avvocato attribuendoli al presidente della Commissione. Autore della lettera, si scoprì poi, un personaggio che aveva “fraudolentemente utilizzato un nome noto al direttore del quotidiano dichiarando di essere il figlio di un famoso giornalista, suo amico, inducendolo cosi’ in errore sulla provenienza della lettera e sulla sua credibilità”.
Il direttore si era giustificato dicendo di aver contattato il mittente al cellulare e di essersi fidato e di aver deciso di pubblicare la lettera – modificandola nella parte più offensiva – “anche in ragione della difficoltà di fare immediate ulteriori verifiche attesa l’ora tarda e la prossima stampa del giornale”. “Come peraltro ammesso dallo stesso direttore – si legge nella sentenza – nessun serio controllo e’ stato effettuato sulla ‘fonte’ della notizia, essendosi l’imputato fidato della firma apposta in calce in relazione a quanto riferitogli dal falso interlocutore telefonico sul fatto di essere figlio di un suo amico giornalista come se tale dichiarata parentela fosse in se’ sufficiente a dare esaustiva garanzia della effettiva identità dell’interlocutore e nel contempo della verità della notizia riportata nella lettera”. Assolto in primo grado, il direttore era stato condannato in appello, verdetto poi confermato dalla Corte di Cassazione.