“I magistrati fanno già un lavoro importantissimo, riescono a smaltire tantissime di queste domande e voglio ringraziarli pubblicamente”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede questa mattina, presentando il decreto ministeriale con cui il governo interviene sul tema dei migranti.
“Con questo decreto, avendo un elenco di paesi sicuri, si permette che tutta la procedura abbia tempi dimezzati rispetto a quelli attuali proprio per quel paese – ha sottolineato Bonafede – Chi si trova ad esaminare una domanda di protezione internazionale sa che si tratta di un paese sicuro, quindi abbiamo un diverso meccanismo dell’onere della prova: cioè non ci sono i presupposti per ottenere la protezione, salvo prova contraria. Questo è un passaggio molto importante perché permette a chi valuta quelle domande di poter rispondere con maggiore celerità”.
“Nel 2016 le domande di protezione pendenti erano 47mila, nel 2017 41.800, nel 2018 c’erano 48.952 pendenze presso i tribunali. A fine luglio 2019 sono 70.000. C’è un incremento importante di queste domande”. ha continuato il ministro della Giustizia “E questo – ha tenuto a precisare il guardasigilli – nonostante la capacità e il lavoro dei nostri magistrati” di smaltire un gran numero di domande: il numero di procedimenti definiti, ha ricordato, è stato di 14.290 nel 2016 e di 41.238 nel 2018.
“Chi non può stare in Italia, non possiamo aspettare due anni per rimpatriarlo, il decreto dice che in 4 mesi, non più in due anni, si può capire se una persona può stare qui o se deve essere rimpatriata”, ha spiegato Di Maio. “Questo decreto non va a ledere nessun diritto umano, è una questione legata a procedure farraginose rispetto a Paesi, anche del Mediterraneo, che sono Paesi con cui lavoriamo e commerciamo tutti i giorni” aveva anticipato il ministro degli Esteri “La redistribuzione dei migranti non può essere la soluzione definitiva ma dobbiamo fare più accordi con democrazie che votano, con Paesi con cui abbiamo fatto accordi commerciali. Possiamo metterci d’accordo per dire: ‘se arrivano barchini sulle nostre coste noi velocemente te li rimandiamo indietro, così lo fai una volta, due, ma alla terza non lo fai più’”.
“Prima si perdeva tempo – ha aggiunto – e poi la comunità internazionale ci diceva ‘non potete avviare meccanismi di rimpatrio se prima non è finita la procedura che deve dire se una persona è perseguitata o no’. A volte questo meccanismo è durato 3 anni”.