Bruciò un clochard per noia. Niente processo, diciassettenne messo in prova

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Torna a far discutere l’istituto della messa in prova nel processo minorile e l’effettiva percezione che ne deriva di fronte a vicende particolarmente efferate. Stavolta nel beneficia un ragazzo di 17 anni accusato di un omicidio quanto mai feroce e brutale: si annoiava, diede fuoco a un clochard.
Mettendo da parte le emozioni, ripercorriamo la vicenda. La storia è quella dell’atroce morte di Ahmed Fdil, il clochard di 64 anni bruciato vivo da due ragazzini a Verona il 13 dicembre 2017 all’interno dell’auto che era diventata la sua casa. Tormentato da tempo dai due ragazzi, il senza tetto era diventato il bersaglio preferito dei due, che alla fine diedero fuoco alla sua auto con lui dentro. Ora, mentre il tredicenne, non imputabile, non ha affrontato alcun processo, per il 17enne – ora ospite di una comunità – il giudice Maria Teresa Rossi del Tribunale dei minori di Mestre ha deciso la messa in prova, sospendendo il processo per tre anni.
In precedenza era stato il minore dei due a rivelare il retroscena del delitto: “Il nostro sogno era quello di uccidere un uomo. Incendiammo l’auto per noia, per fare uno scherzo”. “La vita di mio zio vale meno di zero”, dice la nipote della vittima. “Non me lo aspettavo” è invece il commento dell’avvocato Alessandra Bocchi, che tutela i familiari della vittima, che non si sono potuti costituire parte civile perché la legge non lo ammette nei processi con imputati minorenni. “Prendiamo atto dell’ordinanza, l’accettiamo e la rispettiamo, tuttavia, considerato il tipo di reato, ovvero l’omicidio volontario aggravato dalla minorata difesa, secondo noi si sarebbe potuti arrivare a sentenza. Nessuno voleva vendetta, ma solo che venisse fatta giustizia; invece il ragazzino non si è neppure scusato per ciò che ha fatto. Questa decisione ha il retrogusto dell’impunità”.