Black out tecnologico, amanuensi al lavoro in Cassazione.

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Chi deve ritirare una sentenza, chi ha partecipato a un’udienza dove tutto è stato verbalizzato a mano lo sa. Da cinque giorni la Cassazione ha fatto un salto indietro nel tempo ed è tornata agli anni settanta. Colpa di un black out del sistema informatico contro cui ormai da mercoledì scorso i tecnici si battono strenuamente, ahimè invano.
L’ultima data di pubblicazione delle sentenze – come in uno di quei film catastrofici in cui la vita rimane sospesa all’improvviso per qualche calamità – è quella del 13 settembre, poi tutto si è fermato.
Spiegano gli esperti della Suprema Corte, confortati e assistiti nell’ardua opera di ripristino dai colleghi del Ministero della giustizia, della Direzione generale dei sistemi informatici e pure dai privati che hanno vinto l’appalto per l’assistenza al server in quel di Napoli, che la causa sarebbe nella rottura di tre hard disk i quali, una volta sostituiti, hanno provocato problemi al software.
Né d’altro canto il sistema di emergenza è mai entrato in funzione, per cui gli utenti sono rimasti nel buio tecnologico più completo. Annotano le agenzie con una vena – forse involontaria – di ironia che “fortunatamente in Cassazione il processo telematico non ha ancora preso piede e tutto viene depositato ancora in cartaceo, direttamente negli uffici nel settore civile con originale del ricorso corredato di sette copie, e nel penale i ricorsi arrivano per posta inoltrati dalle corti d’appello”.