Secondo i giudici della Cassazione una sentenza «caricaturale». Una bacchettata durissima, quella della Suprema Corte, nei confronti dei colleghi della Corte di Appello di Roma, sezione misure di prevenzione, che di recente hanno revocato una confisca da due milioni di euro nei confronti di un pregiudicato di quarant’anni sospettato di usura.
Ne scrive Adelaide Pierucci sul Messaggero. I magistrati dell’appello – si legge nell’articolo – hanno accolto la tesi della difesa secondo cui l’ingente patrimonio a disposizione dell’uomo sarebbe stato frutto di una vincita al Superenalotto di 636.000 euro. Sarebbe stata quella vincita, secondo la Corte di appello, a garantire il capitale iniziale al presunto usuraio, che avrebbe fatto fruttare i soldi con la costituzione di società, investimenti immobiliari e bancari.
Secondi i giudici della V sezione invece, «a fronte di un decreto di confisca di primo grado sostenuto da rigore logico, espositivo e valutativo, sono state dedotte modeste entrature da lavori in nero, mirabolanti vincite al Superenalotto, profluivi di donazioni (in nero) e regalie vari da parenti e estranei». Della cosiddetta vincita è stata fornita una visione folcloristica e caricaturale»… «omettendo di rilevare la caratura criminale dell’ indagato, che tra l’ altro all’ epoca della cosiddetta vincita era già stato attinto dalla confisca di una lussuosa villa in Marino, disposta nell’ ambito di un procedimento penale».

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