A processo per traffico di esseri umani. L’avvocato: c’è uno scambio di persona

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Trafficante di esseri umani o innocente in cella. Medhanie Tesfamariam Berhe è quel criminale senza scrupoli che in patria, in Sudan, chiamano il Generale, o uno che non c’entra niente. A processo a Palermo, “vede a ogni udienza sfilare testimoni che dicono ‘quello non e’ il trafficante, quello e’ una brava persona, la voce non e’ la sua, la firma non e’ la sua, i documenti non sono i suoi’, spiega il suo avvocato Michele Calantropo, eppure resta dentro in seguito all’estradizione dal Sudan tre anni fa.
“Agli atti della corte abbiamo portato testimoni oculari, una relazione di consulenza fonica, confermata dalla perizia, e due test del Dna, uno dei quali non e’ stato ammesso, quello sul figlio e sulla moglie del vero trafficante, perche’ la procura si e’ opposta, e quello della madre di Medhanie”. E ancora “prove documentali, tra cui la certificazione anagrafica rilasciatami del ministero degli Esteri eritreo, documentazione fotografica che attesta che il vero trafficante era libero dopo l’arresto del mio cliente – racconta il legale – dichiarazioni di imputati per reato connesso, tra cui Seifu Haile, che ha deposto a Roma in un altro processo e che ha riconosciuto il vero trafficante in un’altra persona rispetto al mio cliente, una relazione di
consulenza tecnica sui messaggi e sui contatti telefonici del mio cliente”
Dall’analisi delle intercettazioni disposte dalla procura, “il perito nella sua relazione ha affermato che, a orecchio, l’interprete ha escluso che siano la stessa persona, e che tramite un modello matematico si arriva a una non certezza della voce”. Tra i testimoni attesi in aula a Palermo il prossimo 15 aprile ci sono due funzionari dei servizi di intelligence e sicurezza nazionale del Sudan (Niss) che nel 2016 hanno consegnato Mered all’Italia. “Io non ho alcun atto firmato da questi due funzionari del Niss. Non ho niente. La procura non ha depositato nulla firmato da questi soggetti, io ho solo la comunicazione dell’arresto e il verbale di sequestro che hanno fatto i sudanesi. Non so se hanno fatto indagini, se ci sono stati servizi di
pedinamento”.
“Quando la procura ha chiesto l’audizione dei testi del Sudan, io ho rappresentato alla corte delle inopportunita’ nel sentire questi testimoni”, prosegue l’avvocato. Il riferimento è alle accuse mosse alle forze di sicurezza sudanesi da organizzazioni come Human Rights Watch di complicita’ nel traffico dei migranti, oltre che ai mandati di arresto spiccati dalla Corte penale dell’Aia (Cpi) contro il presidente sudanese Omar al Bashir per crimini di guerra e contro l’umanita’ e genocidio commessi nella regione Darfur. Obiezioni a cui la corte ha risposto che “non ci sono attualita’ di questo tipo di rapporto e che anche la pendenza di mandati di arresto internazionali emessi dalla Cpi non puo’ avere influenza sui funzionari del Sudan”.